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Marina Suma è "Nina Scarabattola", protagonista della pièce di Luca Nasuto

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Giovedì 25 e venerdì 26 ottobre al Teatro Supercinema di Castellammare di Stabia (Na), andrà in scena la pièce teatrale “Nina Scarabattola”, scritta e diretta dal giovane drammaturgo Luca Nasuto. Si tratta di un dramma storico dove l’attacco delle truppe tedesche alla città e al canti...

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Giovedì 25 e venerdì 26 ottobre al Teatro Supercinema di Castellammare di Stabia (Na), andrà in scena la pièce teatrale “Nina Scarabattola”, scritta e diretta dal giovane drammaturgo Luca Nasuto. Si tratta di un dramma storico dove l’attacco delle truppe tedesche alla città e al cantiere navale di Castellammare avvenuto l’8 settembre 1943, fanno da sfondo alle vicende di Nina interpretata da Marina Suma. Nina è una suora in crisi esistenziale che tornando a casa scopre un paese cambiato, sorpreso dall’invasione nazista. Il testo è serrato dal dialetto stabiese antico che Nasuto ha riportato alla luce attraverso la riscoperta di figure emblematiche e storiche della città delle Acque, ma è anche il racconto di un amore adolescenziale capace di turbare un’intera esistenza. Interpreti della pièce, insieme a Marina Suma sono: Anna Spagnuolo, Piero Pepe, Sergio Celoro, Laura Amalfi, Loredana Cirillo, Rosalia Terrana, Cristiana Cesarano. A pochi giorni dal debutto abbiamo incontrato l’autore e regista dello spettacolo, Luca Nasuto.

Il tuo è un teatro di parola, fatto di monologhi e dialoghi molto fitti. Quanto è importante per te la scrittura?

È come un’autopsia al corpo fonologico della parola, uno sviscerare con la scrittura il suono, il senso di una parola, di una condizione ma che non necessariamente deve essere teatrale. È come se una parola fosse una termite per la precedente, la rosicchi rendendola meno complessa di come possa apparire. La parola della mia scrittura non è mai scelta, è scelta piuttosto la voglia di non essere sottomesso al peso della parola stessa. Non credo che esistano linguaggi che obiettino alla legge della fruibilità, del senso, perché uno degli effetti più sublimi dell’arte della scrittura, sia essa scenica o meno, è quello di dissolvere una routine piena di bestie e segreti. La scrittura è il ribadimento costante del miracolo di possedere la parola, essa è l’unica parte di noi che non ha bisogno degli altri, è l’autentica della nostra libertà anche in una condizione di solitudine. Forse il momento della vestizione di uno scrittore prevede come rito iniziatico proprio il fatto di starsene da soli, occhiali al soffitto. Al momento dello scrivere o del dire non si è subito gratificato dall’atto in sé, è il meccanismo di riprodurre situazioni che forse mi fa accettare le nostalgia che guidano l’animo. Il linguaggio che sia esso di segno o suono mi permette di dare un significato anche alle cose che forse in quel particolare anno della mia vita erano solo da contorno, l’umanizzazione anche di quello che non sembra appartenga al creato è il lavoro della mia scrittura, e credo di ogni persona che nella scrittura, è libero.

La tua drammaturgia racconta spesso storie di grandi solitudini, soprattutto interiori. Storie e vicende degli ultimi della società, di donne e uomini relegate ai margini. Perché oggi, nell’epoca della comunicazione, si sente così forte il peso della solitudine?

Il problema forse è che il frenetico andare non ci apre al superamento del senso più stretto delle parole. Come dicevo prima a riguardo del deflagrare del segno a vantaggio di un’immagine che resti viva in chi legge o vede uno spettacolo. L’andare veloce non ci porta ad un elaborazione giusta dei termini associati ad uno stato d’animo. La stessa solitudine a cui sembra siamo condannati non viene vissuta nelle sue forme più nascoste. La società ci pone di fronte al termine “solitudine” in uno stato di arrendevolezza assoluta, depressione. Per molti la solitudine non fortifica, demolisce. Questo a proposito della mia scrittura che sviscera ogni singolo termine. Un lavoratore fuori dalla propria attività, fa della solitudine una patologia, e non c’è ascesa peggiore nell’introspezione di chi vede la solitudine come il riconoscimento dei fallimenti personali.

Parlaci un po’ di “Nina Scarabattola”, il tuo ultimo lavoro.

Nina Scarabattola, è una pièce serrata da suggestioni antropologiche, filologiche, ho fatto mattina per ricostruire la vita di vecchissime figure di Castellammare, alcune di queste ho dovuto immaginarne la vita, perché nella memoria storica erano solo dei soprannomi. Figure che fanno dell’anima del testo un’anima sicuramente tetra, oscura come potevano essere i vicoli che dalla parte bassa del porto di Castellammare salivano fin sopra la montagna. La scena si svolge proprio in una della tante sartorie arroccate nel centro antico, una sartoria ridotta quasi a rudere di chiesa all’epoca sconsacrata, e in questo clima decadente i personaggi che dapprima si muovono dando l’illusione di un prossimo sacerdozio finiscono per diventare simboli, atmosfere, credenze, superstizioni dell’intera città di Castellammare. Un viaggio, dunque quello di Nina, una suora in crisi esistenziale che ritorna nella sua città proprio mentre quest’ultima stava per essere assediate dalle truppe tedesche. È l’8 settembre del 1943. L’avvenimento della resistenza dei marinai ai tedeschi per impedire la distruzione dell’antico cantiere navale di Castellammare e delle sue navi, diviene il contesto storico di questo dramma in cui Nina si muove negli echi di una nostalgia e di un passato feroce. Pochi sono gli stabiesi, anche di una certa età, che ricordano l’episodio e la quasi totalità dei giovani ignora l’esistenza del valoroso comandante Baffigo a cui fu concessa una delle prime Medaglie d’Oro della Resistenza, eppure la paventata chiusura del cantiere navale dovrebbe far sorgere la curiosità sul ruolo e la storia che tale stabilimento ha avuto ed ha nell’economia cittadina e del comprensorio.

Raccontaci degli interpreti della pièce.

Protagonista del dramma nel ruolo di Nina, è Marina Suma. Con lei grandi nomi del teatro come Anna Spagnuolo, Piero Pepe, veri maestri che portano il nome di Castellammare nelle compagini più alte della scena teatrale italiana. Altri attori di Castellammare che s’impongono da anni sul contesto nazionale facendo da nave scuola per tutti i giovani che si avvicinano al teatro, sono: Sergio Celoro che in questo lavora invecchia nel ruolo del padre di Nina, c’è poi Laura Amalfi che affianca la Spagnuolo interpretando na sartulèlla che passa dal novizio delle suore alla passione per i colletti azzurri, i marinai. In compagnia ancora Cristiana Cesarano che interpreta una delle figure più nere, e più invocative del dramma; c’è Loredana Cirillo in uno dei ruoli più nostalgici della vicenda, è Annetta una bellissima donna divenuta il reliquario vivente della sua giovinezza; in scena ancora c’è Rosalia Terrana, voce e corpo di una ritardata mentale, altra figura ancora viva di Castellammare di Stabia.

Com’è avvenuta la scelta di Marina Suma per il ruolo di Nina?

Marina è tra le attrici italiane che meglio incarna sulla scena la fragilità reattiva, quella sorta di cristallo opaco in cui appena puoi intravedere la direzione, è l’attrice che ti permette di creare personaggi la cui autodistruzione è bloccata da un’improvvisa, ma illusiva speranza. Questi sono stati i motivi che mi hanno portato e mi portano oggi a scrivere per lei, e poi le tonalità della sua voce riesco a sentirle durante la fase di stesura, permettendomi di portare sulla scena il tempo andato senza troppo crogiolarsi nel ricordo.